Era poco più di un anno fa. Fui chiamato a raccontare una storia. Ma con un pretesto meschino, infine, quella storia mi fu impedito di pubblicarla. Ero conscio sin da principio che avrei corso questo rischio. Ho subìto abbastanza tentativi di imbavagliamento, ormai, per non essere in grado di presentirli, per non essere consapevole dell’attualità e della pervasività di questo genere di fenomeni, per non riconoscerli a dispetto della loro più insospettabile provenienza e della loro natura camaleontica, per non sentirne la violenza anche quando è più subdola e meno esplicita, meno diretta. Anche quando quella violenza, quel tentativo di sopraffazione, viene esercitato da chi sente, a torto o a ragione, di soggiacere a sua volta ad una qualche forma di ricatto.
Non c’è un modo univoco di rispondere a questo tipo di violenza, di cui si è solamente i destinatari intermedi. Bisogna sempre, anzitutto, tenere presente il valore più grande della giustizia sociale che si sta cercando di proteggere e di affermare in quanto cittadini, privi quindi di garanzie e tutele specifiche. A tal proposito e a questo punto della Storia con la S maiuscola, mai così orfana di verità, credo che il martirio, in senso stretto e in senso lato, sia la forma di difesa meno efficace contro questo tipo di violenza, che sia più che altro il più incisivo gesto di autosabotaggio delle proprie speranze e dei propri ideali. Così, in questo particolare frangente, mi sono chiesto dinanzi al bavaglio che mi era stato imposto: perché per una volta non rappresentare il volto grottesco del nostro Presente per come è ridotto, sfigurato cinicamente dalla violenza e dall’ignoranza di chi esercita direttamente il potere o in qualche modo ne è asservito, in sfregio della giustizia e della verità? Mostrane l’effigie alterata non è forse abbastanza significativo di per sé?
Dal punto di vista dell’informazione e della comunicazione le arene social, soprattutto, ci hanno definitivamente assuefatto all’illusione della libertà e della conoscenza. Questo processo è noto da anni ma con la crisi pandemica, economica e sociale in atto ne è emersa a livello globale, ce ne fosse stato ancora bisogno, la grandiosa brutalità. Senza andare troppo lontano, più di un anno fa era possibile leggere su Facebook che alcuni sanitari del Friuli Venezia Giulia lamentassero disattenzione da parte dei giornalisti e, allo stesso tempo, che alcuni giornalisti lamentassero che i sanitari non parlavano con loro della grave situazione epidemiologica. Chi di loro aveva ragione? Notizie contraddittorie che andarono come sempre ben presto a morire nel consueto trambusto delle masse intangibili: dell’emergenza sanitaria i cittadini virtuali già sapevano e dicevano un po’ tutto e il contrario di tutto. In quel trambusto, così caro a una certa demagogia, la comunicazione di una procedura delineata successivamente, tra fine ottobre e inizio novembre 2020, dalla regione, detta procedura di controllo “visto il momento delicato, contro le facili strumentalizzazioni, con la quale il medico interpellato dovrà sottoporre la richiesta di intervista manifestatagli dal giornalista al proprio direttore generale, che la inoltrerà alla segreteria della direzione regionale, al fine di avviare la condivisione di eventuali richieste da proporre al vicepresidente della regione per il suo successivo rapporto con la stampa” non ebbe affatto una eco così rilevante come ci si sarebbe potuto aspettare.
Come si analizzano questi fatti? Che significato hanno? Quali le ricadute e le reali conseguenze sociali?
Nei momenti più duri della pandemia la propaganda italiana ha raccolto e rilanciato solennemente l’iniziale risalto popolare dato, e giustamente, all’eroismo di medici e infermieri in prima linea nella lotta al virus. Questo tipo di narrazione ha posto una grande enfasi sulla sostanziale tenuta del sistema sanitario nazionale annacquando di fatto l’attenzione verso le sue criticità nell’istante esatto in cui sarebbe stato molto più utile e onesto, anche se impopolare, riconoscerne ufficialmente la gravità.
Il sindacato di gran lunga più rappresentativo di medici e dirigenti sanitari italiani denuncia ad esempio un continuo aumento della percentuale di dimissioni del personale medico dalle strutture pubbliche ospedaliere. “Il lavoro in ospedale non è più attrattivo”.”In ospedale i problemi sono molti”, spiega il sindacato che indica anche le ragioni della fuga dalla sanità pubblica, come ad esempio: i tagli del personale e la carenza di specialisti che hanno creato organici sempre più ridotti, rendendo insostenibili i carichi di lavoro, con turni sempre più disagevoli. L’assenza di coinvolgimento nei processi decisionali. La difficoltà di tollerare ulteriormente la solitudine di fronte a tutte le mancanze e alle carenze organizzative. A proposito di eroi, l’aumentato rischio di denunce legali e aggressioni, verbali e fisiche (la cui gravità e frequenza ha portato alla recente approvazione della legge n.113 del 14 agosto 2020 che prevede, oltre a un inasprimento delle pene, anche l’istituzione di un Osservatorio nazionale sulla sicurezza degli esercenti le professioni sanitarie e socio-sanitarie e la promozione di iniziative di sensibilizzazione sul fenomeno N.d.R.). Il forte ridimensionamento delle ambizioni di carriera. I medici ospedalieri si sentono semplici pedine, prestatori d’opera ai quali mandare ordini di servizio, chiedere di sopperire alle carenze del sistema o pretendere sempre maggiore produzione ed efficienza. Tutte condizioni che rendono il privato sempre più attrattivo. Segnali di allarme, scrive ancora il sindacato, “della fine del sistema sanitario pubblico per come lo conosciamo, che semplicemente non esiste senza i suoi medici. Se la politica non interviene, e rapidamente, per motivare, valorizzare, premiare e trattenere i medici ospedalieri, gli ospedali diventeranno quinte teatrali anche se ammodernati dal punto di vista tecnologico e digitale” tanto che “L’associazione anestesisti e rianimatori ospedalieri italiani ha molti dubbi sul potenziamento delle terapie intensive previsto dal piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) poiché rimane critica la disponibilità di personale (L’Essenziale | 4 dicembre 2021)”.
“Si potrebbe pensare che sia tutta colpa della pandemia di covid-19” scrive nello stesso numero L’Essenziale “invece il problema ha radici più profonde e gli analisti internazionali lo avevano capito”. “Per almeno dieci anni i governi della sanità hanno chiuso gli occhi di fronte alle conseguenze del cosiddetto blocco del turnover, cioè del ricambio di personale. Si prevede che tra il 2020 e il 2024 i pensionamenti creeranno un deficit di 8.299 medici e 10.054 infermieri. E, nonostante negli ultimi due anni il numero dei posti nei corsi di specializzazione sia aumentato, già nel 2026-2027 ben 19.800 posti specialistici non troveranno medici disponibili a occuparli, senza contare il tasso di abbandono o di posti già scoperti, stimato intorno al 5-10 per cento e in continuo aumento”. A quanto pare il peggio deve ancora venire e dunque è lecito chiedersi “Chi si prenderà cura di noi”, come titolava ancora, sconsolatamente, L’Essenziale n. 5, anno 1. Chi farà fronte e in che modo alla prossima emergenza sanitaria?
Con un anno di anticipo mi ponevo nel racconto che segue la stessa domanda: fino a che punto si potrà sperare che il buon cuore di qualcuno, di qualche medico e di qualche infermiere in questo caso, sopperisca alle carenze e alle negligenze di un sistema di cui ci dimentichiamo colpevolmente di fare parte ogni qualvolta dovremmo compiere quelle azioni che ci consentirebbero di modificarlo?
Questo racconto fu considerato evidentemente ostile dalla propaganda ufficiale del tempo (anche se non mi fu mai detto espressamente da chi l’ordine partì) e come tale “archiviato”, benché documentasse le gesta di alcuni eroi della mia regione, il Friuli Venezia Giulia, che però non venivano ritratti come gli emblematici paladini ma come i martiri di una sanità pubblica alla canna del gas, l’esile baluardo rimasto a difesa della vita e della dignità umana. Lo condivido adesso, sperando che qualcuno avrà la voglia e la pazienza di leggerlo, perché alla luce dei successivi sviluppi sanitari, politico-economici, sociali – locali e nazionali – che ci sono stati e che si prevede ci saranno, ancora ne sento l’attualità e il bisogno. Lo faccio dedicandolo umilmente, con tutto il cuore e tutta la gratitudine possibile, a tutti i medici, gli infermieri e gli operatori sanitari, che nonostante tutto hanno sempre sentito di non avere scelta e che in virtù di questo questo ci hanno salvato molte volte e in molti modi la vita.
E’ ora di cambiare, ma non dipende soltanto da loro. Dipende da ognuno di noi.