Fotografie alla radio: grazie a Paolo Cantarut e a Radio Onde Furlane per lo spazio di questa intervista dedicata al progetto in fieri Pontebbana (Pontebbana 2016; Pontebbana + 1 lustro 2021; …) e della quale accludo di seguito il testo scritto, oltre a questo link per l’ascolto audio.

Nel 2016 ancora brancolavamo nel buio, nell’incertezza ereditata dall’ultimo grave shock economico che ci aveva colpito intorno al 2008. Il sistema neocapitalistico su cui avevamo basato la nostra economia, le nostre ambizioni e la nostra stessa vita era definitivamente crollato, ma lui non era disposto a passare la mano e noi, che avevamo sempre ignorato le avvisaglie di quel crollo, non eravamo pronti a immaginare da che cosa sarebbe stato sostituito. Questo senso malcelato, diffuso e nauseabondo, di colpevole smarrimento mi indusse a compiere il mio primo viaggio fotografico lungo la strada statale 13, importante via di comunicazione di questa regione.
Cinque anni dopo, quando un virus ci ha rivelato quanto fossimo ancora impreparati, scemi e nudi, inconsapevoli e fragili, troppo individualisti ed opportunisti per affrontare le sfide imposte dalle circostanze alla sopravvivenza sociale, ho sentito il bisogno di ritornare per strada e cercare una spiegazione e un aiuto. Ma non c’era niente. Non più di quello che vedrete. E, soprattutto, non c’era nessuno.

Cinque anni fa, dopo aver visto la prima parte di Pontebbana, Angela Felice, che mi manca tantissimo, mi scrisse questo messaggio:
Non trovo le parole per ringraziarti per le immagini del tuo lavoro. Sono di una potenza e di una inquietudine che stringe il cuore. Sai catturare aspetti del degrado e della bruttezza non solo estetica (irrimediabili?) che ci circondano, su cui magari sorvoliamo e che tu invece ci costringi a guardare.Il tuo è uno sguardo allarmato e indignato come quello di Pasolini, che questo disastro l’aveva presagito e patito quando nessuno, o quasi, lo faceva. Conosci la poesia La recessione, presente nella Nuova gioventù? Sarebbe il degno commento alle tue immagini dolorose.
Ti saluto con sentimenti contrastanti, tra la rabbia, l’impotenza e la sofferenza.
Angela

Rivedremo calzoni coi rattoppi
rossi tramonti sui borghi
vuoti di macchine
pieni di povera gente che sarà tornata da Torino o dalla Germania
I vecchi saranno padroni dei loro muretti come poltrone di senatori
e i bambini sapranno che la minestra è poca e che cosa significa un pezzo di pane
E la sera sarà più nera della fine del mondo e di notte sentiremmo i grilli o i tuoni
e forse qualche giovane tra quei pochi tornati al nido tirerà fuori un mandolino
L’aria saprà di stracci bagnati
tutto sarà lontano
treni e corriere passeranno ogni tanto come in un sogno
E città grandi come mondi saranno piene di gente che va a piedi
con i vestiti grigi
e dentro gli occhi una domanda che non è di soldi ma è solo d’amore
soltanto d’amore
Le piccole fabbriche sul più bello di un prato verde
nella curva di un fiume
nel cuore di un vecchio bosco di querce
crolleranno un poco per sera
muretto per muretto
lamiera per lamiera
E gli antichi palazzi
saranno come montagne di pietra
soli e chiusi com’erano una volta
E la sera sarà più nera della fine del mondo
e di notte sentiremmo i grilli o i tuoni
L’aria saprà di stracci bagnati
tutto sarà lontano
treni e corriere passeranno
ogni tanto come in un sogno
E i banditi avranno il viso di una volta
con i capelli corti sul collo
e gli occhi di loro madre pieni del nero delle notti di luna
e saranno armati solo di un coltello
Lo zoccolo del cavallo toccherà la terra leggero come una farfalla
e ricorderà ciò che è stato il silenzio il mondo
e ciò che sarà.
PPP
Nella mia presentazione della prima parte di Pontebbana (2016) io scrivo fra le altre queste parole: viaggio breve sulle sponde del fiume d’asfalto che taglia il Friuli a metà, fra resti e simulacri di uno sviluppo senza progresso.
Ma che cos’è lo sviluppo? E cos’è il progresso?

Negli Scritti Corsari della prima metà degli anni Settanta del secolo scorso, ancora Pasolini rifletteva sulla vita frenetica della contemporaneità, in cui gli esseri umani agiscono secondo le logiche del mercato, conformandosi ad una società divenuta penitenziario del consumismo, in cui regna un’omologazione dei valori spacciata per emancipazione sociale, e sulla volontà degli attori sociali favorevoli allo sviluppo: cioè coloro i quali producono beni superflui, ma anche i consumatori di quei prodotti, irrazionalmente e inconsapevolmente d’accordo nel volere lo “sviluppo”, che significava, nell’immediato cambiamento quantitativo della loro vita.

Il progresso, invece, è voluto da quelli che non hanno interessi immediati da soddisfare, ma si battono per la qualità della vita e delle relazioni. Ciò sta ad indicare l’elevazione umana e morale di una società, legata a una concezione della storia – anche economica, politica e produttiva, naturalmente – concepita come lineare miglioramento dell’esistenza.
La fugacità e la caducità delle ere economico-speculative stratificate lungo la Pontebbana che racconto (dagli agglomerati militari, agli agglomerati industriali, a quelli commerciali, alla pandem(e)conomy), sono le prove visibili e inconfutabili proprio della mancanza di questa linearità nella tensione verso un miglioramento dell’esistenza, mancanza che è sinonimo dell’assenza evidente di un progetto umano e sociale alla base della nostra storia, nella fattispecie di quella economica.
In tale contesto, lo sviluppo fine a se stesso e non mezzo per il benessere sociale ha portato, predice ancora lo stesso Pasolini, anziché al progresso, al regresso rappresentato dal degrado morale, sociale e dell’ambiente naturale, oggi allargato, aggiungo, al degrado demografico, culturale, politico, economico, sanitario. E finisce dicendo: l’errore si è trasformato in orrore.

E tutto questo orrore lo si vede e lo si percepisce, lo si respira, lo si assorbe nei paesi vuoti lungo la Pontebbana, nelle case vuote, nelle caserme, nelle fabbriche, nei centri commerciali, vuoti.
Lo si sente nelle proposte vuote, negli slogan vuoti, nelle parole vuote – un vuoto a cui, evidentemente, ci si assuefa – perfino nell’idea vuota di RIPARTENZA che rimbomba oggi dalle stanze dei bottoni ai cartelloni delle elezioni, attraverso i telefoni e nelle televisioni.

Avrei accettato altri approcci all’interminabile crisi – crisi è un’altra parola che da sola non significa niente, ma che va giù bene perché annacqua le responsabilità – alla crisi, dicevo, che pare ormai non avere fine e che la nostra società sta perlopiù consenzientemente subendo da anni, ma lo slogan della ripartenza proprio no. Avrei immaginato e desiderato sentire altre parole più utili, pronunciate magari! senza pomposità e retorica e con, invece, disinteressata umiltà e asciutto pragmatismo:
Riesame, ad esempio, dei fatti e delle responsabilità che nei decenni hanno prodotto e alimentato il disastro economico e sociale in ultimo rivelato anche ai più scettici e inconsapevoli, e non certamente causato ma rivelato, dalla pandemia del Covid.
Ripensamento, del modello economico e finanziario basato sul ricatto del debito e di volta in volta, tragedia dopo tragedia, stemperato dal mito ahimè intramontabile della crescita.
Riconversione e Rigenerazione, degli ambienti e degli spazi come patto necessario per una nuova economia fondata su principi di welfare sociale e di giustizia ambientale.
E ancora Ridistribuzione, delle risorse, come patto necessario per una nuova economia fondata sul principio dell’equità, tradita da trent’anni di liberismo scellerato, e quindi dell’uguaglianza e della giustizia sociale.

Ma ripartenza, proprio no.
Ripartire da dove? dallo stesso identico disastro nel quale annaspavamo prima e durante la pandemia? E per andare dove? Appresso a chi? A quale crescita? A quale prodotto? Quello intorno lordo, o quello che definisce la qualità della nostra vita? Chi siamo e chi vorremo essere?
Sono domande esistenziali, se vogliamo banali ma i fatti ci dicono indispensabili. Domande che abbiamo smesso di porci da troppo tempo.
A questo link il fotovideo di Pontebbana (2016):
A questo, invece, le fotografie di Pontebbana + 1 lustro (2021):
E qui, infine, La Recessione di Pasolini messa in musica da Alice: