Il caso Friuli: da confine più militarizzato d’Europa, ad avamposto della delocalizzazione industriale e produttiva verso i Paesi dell’Est. Da prima regione italiana per proporzione fra superficie di centri commerciali e numero di residenti, a proselita della nuova pandem(e)conomy.
Dagli agglomerati militari, agli agglomerati industriali, a quelli commerciali.
PONTEBBANA,
viaggio breve sulle sponde del fiume d’asfalto che taglia il Friuli a metà, fra resti e simulacri di uno sviluppo senza progresso.
Era questo il riassunto col quale raccontavo attraverso questo foto-video, cinque anni or sono, smessi temporaneamente i panni del criceto pendolare fra criceti pendolari, il primo dei mie due viaggi fotografico-immersivi fra milioni di tragittature anonime e obbligate lungo la strada statale 13.
Una strada che tutt’ora e nonostante tutto persevera nell’esibizione sfacciata e funerea delle passate ere economiche che a turno si sono adagiate su di lei e a turno l’hanno chiavata; che si specchia con sguardo assente e mendichevole si attorciglia su altri brandelli dello stesso midollo putrido che ha mercantizzato in pochi decenni dai suoi chilometri al mondo intero e, fin oltre, i feudi dell’Essere.
Molti dei resti e dei simulacri di quello sviluppo senza progresso che avevo documentato cinque anni fa sono ancora lì. Solo alcuni hanno mutato più volte destinazione d’uso ed hanno, se non altro, tentato di tornare a nuova vita. Pochissimi per la verità, da poterli contare sulle dita di una mano, come ad esempio un centro massaggi orientale divenuto ora chiesa cristiana evangelica. Altri conservano il cartello sbiadito di una promessa mai mantenuta “vendesi” o sovrascritta dalla pubblicità di un fallimento subentrato nel frattempo ed ormai vecchia a sua volta.

Mentre la maggior parte dei rifiuti edili che si incontrano lungo la via di questo pellegrinaggio grottesco semplicemente tacciono, incistati nel contesto, assuefandoci all’idea di rappresentare ormai un paesaggio a sé. Alcuni di essi sono perfino difesi strenuamente da solide barriere o da agguerriti proprietari di soli diritti i quali, altrettanto grottescamente, lamentano di essere prima vittime incolpevoli di un sistema economico che li ha usati e abbandonati e poi vittime di un sistema amministrativo che li affligge con imposte ingiustificate sugli immobili.
Immobili, ruderi, servitù militari, ex case sormontate da piloni autostradali, tutti disabitati dalla notte dei tempi, a volte neppure completati e già buoni solamente per costose opere di bonifica e demolizione mai realizzate, prodotto dop delle dissennate speculazioni immobiliari, politiche ed economiche che hanno imperversato anche in questi luoghi – quando ce le si poteva permettere – ecomostri la cui esistenza da sola giustificherebbe piogge di denunce per reati ambientali proprio nei confronti dei loro proprietari, sicuramente per il degrado causato e sempre ingiustamente tollerato.

Ah, la Pontebbana…testimone scomoda e inascoltata di un passato poco glorioso e di un presente malato, tutt’altro che immobile, come si vorrebbe far credere, piuttosto discinetico, coreico. Il suo corpo sociale, già fiaccato demograficamente, appiattito culturalmente e ormai deformato dal mito, trito e ritrito, della crescita ad ogni costo, non ha superato neppure l’esame del Covid. Il prefisso RI è dirimente: nessuna vera nuova partenza, solo un ri-prendere e di corsa dal disastro che si era lasciato – per dove non è dato saperlo – con buona pace di tutti, arraffoni e burattinai.
Ah Pontebbana. Un dì ci rivedremo ancor.




















